Riflessioni sulla medicina occidentale

di | Aprile 13, 2021

Il medico greco Ippocrate (460 – 377 a.C.) viene considerato il padre della medicina occidentale. Fu il primo a studiare, attraverso la dissezione su cadavere, l’anatomia e la patologia. Inventò quella che noi oggi chiamiamo cartella clinica ed inserì i concetti di diagnosi e prognosi osservando razionalmente i pazienti e i sintomi di cui erano portatori.

Aveva un’idea estremamente innovativa e moderna della salute e della malattia: la salute è il risultato di una corretta igiene di vita. La malattia, invece, può essere causata da diversi fattori e, per essere superata, bisogna tenere conto dell’intero stile di vita del malato (l’alimentazione, i rapporti sociali, l’influenza ambientale e la predisposizione).

Ippocrate insistette sulla necessità che il medico conducesse una vita sana, riservata e regolare, sincero e rispettoso dei propri pazienti.

Ancora oggi è in uso il giuramento di Ippocrate in cui vengono enunciati i doveri che un medico deve seguire. Essi riguardano la diffusione responsabile del sapere, impegno a favore della vita, senso del proprio limite, rettitudine e segreto professionale.

La teoria dell’uomo e le teorie del movimento

Ippocrate compila e sistematizza il sapere diffuso relativo al movimento, mettendo insieme le conoscenze a cui si era giunti fino a quel tempo. Elabora una teoria dell’uomo: aveva un’idea dell’uomo come unità, realtà organica nella quale l’organismo non è una macchina e in cui le diverse parti sono interdipendenti. Il medico greco si preoccupò anche di sistematizzare tutte le teorie del movimento presenti nella cultura ellenistica. Secondo Ippocrate il movimento è un cambiamento di stato del corpo dovuto a movimenti:

  • attivo: volontario
  • passivo: azione da parte di altri
  • misto, cioè la riabilitazione

L’idea di movimento che intende diffondere è quella di uno strumento in grado di far mantenere uno stato di benessere o recuperare da una patologia. Questa ideologia si avvicina molto a quella moderna della medicina occidentale. Il movimento ha dunque un rapporto positivo con la salute:

  • serve per il mantenimento e la prevenzione della malattia
  • serve per il recupero e la cura del disagio

Ippocrate cercò poi di identificare i rapporti tra disagi possibili o in atto e tipi di movimento. Costruì una tassonomia dove da una parte scrisse i sintomi e dall’altra parte gli esercizi relativi. Occorreva che il medico visitasse il paziente e facesse una relativa diagnosi.

Nella medicina occidentale i punti di vista del medico greco, anche grazie a Galeno di Pergamo (131- 201 a.C.) che tramandò le sue teorie, hanno dominato la medicina europea per più di mille anni. Indubbiamente Ippocrate, con le sue teorie del tutto moderne e innovative per l’epoca, non poteva che influenzare e lasciare un segno tangibile nella medicina occidentale.

La medicina durante il Rinascimento

Un nuovo punto di svolta viene raggiunto nell’umanesimo, nel Quattrocento. In questo periodo sorgono nuove domande, come chi è l’uomo? Come posso risolvere il problema dell’uomo? L’uomo diventa parte della cultura umanistica che rifiuta la problematicità di un sapere metafisico dell’esperienza umana a favore di un uomo come criterio di riferimento a partire dal quale risolvere i problemi: egli diventa misura di tutte le cose, in grado di leggere la realtà. Si diffuse così una visione soggettivistica della realtà.

In questo senso Cartesio, all’inizio del Seicento, stabilisce le nuove condizioni di pensiero dell’uomo moderno. Cartesio dice che l’uomo, in quanto essere pensante, diventa misura delle cose: “cogito ergo sum” (penso dunque esisto). La discriminante dell’uomo diventa quindi il pensiero e ciò diede l’avvio al razionalismo moderno avvicinandosi sempre di più alla medicina occidentale.

In sintonia con Cartesio, Galileo è considerato l’inventore della scienza moderna. Il pensiero padroneggia la realtà e la scienza è vista come forma di pensiero, modo di pensare e di guardare le cose.

Il pensiero scientifico (passaggio successivo) è la forma adeguata del pensiero, caratterizzata dal primato della realtà. Ci sono tanti tipi di scienza (fisica, chimica, biologia), ovvero ci sono tanti modi di guardare la realtà, e quello che cambia è la forma in cui guardiamo l’oggetto e non l’oggetto in sé. La scienza guarda la realtà spezzettandola, le cose sono viste in modo particolare (parziale, riguardando solo un aspetto, ma senza limitare la realtà ad esso) e tutto ciò va bene perché funziona, ossia perché è strumento di conoscenza che è in grado di dare dei risultati pratici. Scienza e tecnica infatti sono due facce della stessa medaglia ed è appunto la parte pratica a dare valore alla scienza come una conoscenza rivolta all’azione, al cambiamento.

Nella ripresa dell’antichità tra Umanesimo e Rinascimento, c’è anche la ripresa dei testi medici, riguardanti ad esempio la medicina di Galeno, grazie alla quale si compie un altro passo verso il raggiungimento della moderna medicina occidentale.

Tuttavia, già nel Cinquecento il pensiero classico galenico sull’uomo e sull’intervento sull’aspetto fisico cambiò e ci si pose alcuni interrogativi, ad esempio Giovanni Alfonso Borelli, il quale scrisse un trattato di iatromatematica (iatròs = cura medica) e propose una medicina matematica: applicare un metodo formalizzato allo studio del medico, in cui l’analisi viene tradotta in modo numerico.

Con questo nuovo sguardo si verifica un passaggio dalla medicina tradizionale alla medicina occidentale moderna, che dura circa 200 anni. Per capire questo basta guardare la crescente valorizzazione dell’ortopedia in quanto scienza che studia parti del corpo come gli arti e permette un più facile riconoscimento dell’aspetto meccanico del corpo (a differenza ad esempio dello studio della circolazione linfatica, che non è apprezzato perché non ha evidenti ed equivalenti aspetti meccanici).

Il corpo è visto come una macchina ossia come una realtà scomposta, un insieme di parti connesse che vanno studiate singolarmente. La somma dei meccanismi crea un’unità delle parti.

La nuova medicina coglie l’uomo non come una soggettività (unità), ma come meccanismo (parallelismo con macchina) di cui è importante controllare e curare le singole parti. Nella medicina occidentale, la tecnica accompagna i concetti, l’accertamento è analitico e segue un protocollo.

Nei primi decenni del secolo scorso, si assiste ad una nuova visione psicoanalitica dell’uomo, in cui si afferma che l’azione dell’uomo è un’azione unitaria. Questo comporta un ritorno alla concezione dominante prima della modernità, ossia il pensiero classico in cui l’uomo è visto come organismo composto da diverse componenti che devono essere mantenute in equilibrio per il benessere della persona.

Nella psicomotricità di Jean Le Boulch si vede l’applicazione di questa idea: la dimensione di movimento e l’attività psichica sono inseparabili e quindi devono accompagnarsi.

La psicomotricità lega insieme lo spazio e l’Io, il quale si definisce come punto specifico di partenza dal quale definire il resto, ossia l’elemento che funge da punto di riferimento per dare significato allo spazio circostante. Infatti, senza l’organizzazione dello spazio non è possibile organizzare il movimento.

In questo periodo la concezione che si diffonde considera il movimento un punto di sintesi tra diverse funzioni dell’uomo. Il movimento non è legato esclusivamente alla dimensione fisica (azione neuromuscolare), ma viene inserito il pensiero come inevitabile elemento di organizzazione.

Quando nasce veramente la medicina occidentale moderna?

La medicina moderna nasce all’inizio del XIX secolo quando l’anatomia e la fisiologia sono diventate oggettive con l’introduzione del metodo sperimentale. Contemporaneamente venne abbandonata l’idea “animista” di energie cosmiche e umane interagenti. È così che nasce la medicina occidentale moderna, sempre più attenta a ricercare le cause dimostrabili di un effetto, più oggettiva e meno attenta all’individualità.

Oggi la medicina è una scienza che, attraverso esami diagnostici, cerca di studiare le cause oggettive che stanno alla base di una malattia e dei suoi sintomi. È anche un’arte perché il medico, a seguito delle analisi e dei risultati strumentali, deve saper stabilire qual è la terapia migliore per intervenire sulla situazione del paziente.

Tuttavia, per capire la relazione esistente tra i vari elementi, non è sufficiente smontare la macchina ma è necessario  approcciare ad una visione d’insieme per cogliere l’entità unitaria della persona, costituita da componenti psicologiche, biologiche, emotive, spirituali, e le influenze che l’ambiente esercita su di essa.

La frammentazione della conoscenza medica, se da un lato favorisce l’analisi e una conoscenza più approfondita del singolo problema, spesso comporta un’incapacità di sintesi quando coesistono problematiche attinenti a specializzazioni diverse. Le stesse cause che in una persona hanno determinato un sintomo in un’altra persona possono dare un sintomo totalmente differente. Questi avviene poiché cambia l’insieme delle caratteristiche fisiche, biochimiche, psicologiche, immunologiche ed ambientali del soggetto.

La medicina occidentale ufficiale da diversi anni parla di approccio olistico, ovvero di un coinvolgimento della persona che sta male nella sua globalità. L’utilizzo di prodotti farmaceutici è più che raddoppiato ottenendo risultati efficaci nella cura della sintomatologia. Tuttavia il sintomo è solo la parte che emerge di un iceberg che ha radici più profonde e che coinvolge tutti gli strati dell’essere persona.

Bill Clinton, nel giugno del 2000, durante uno show aveva annunciato il famoso Progetto Genoma. Si tratta di un progetto internazionale il cui obiettivo primario era di conoscere tutti i singoli geni che costituiscono il patrimonio genetico dell’essere umano. L’obiettivo era quello di mettere fine ai tumori, al Parkinson e all’Alzheimer.

Si  scoprì che gli esseri umani sono identici per il 99,9%, qualunque sia la loro razza, e circa il 10% dei geni umani sono identici ai geni dei vermi e delle mosche, conservati durante l’evoluzione della specie. Questo significa che parte dei nostri geni condividono un’origine comune.

Il grosso problema è che, dei 100.000 geni che ci si aspettava di trovare, ne furono trovati solo fra i 30.000 e i 40.000 [2].

La quantità dei geni non è in relazione l’evoluzione di un organismo altrimenti non si spiegherebbe come la salamandra abbia un genoma più grande dell’uomo. La complessità dell’uomo è dovuta non alle dimensioni del genoma, ma alle combinazioni delle loro funzioni e all’interferenza del DNA con l’ambiente. L’uomo non scaturisce da una sorta di determinismo genetico, ma da un equilibrio dinamico suscettibile di evoluzione e cambiamento.

Questa è, in breve, la concezione della medicina occidentale odierna. Le cellule, i tessuti e gli organismi adotterebbero delle strategie per produrre, partendo da varie condizioni genetiche e ambientali, dei meccanismo ordinati e adattativi.

Quando l’adattamento non è più possibile nei limiti fisiologici, l’organismo sviluppa la patologia. L’inquinamento ambientale elettromagnetico, i ritmi di vita e le modifiche alimentari, possono avere effetti devastanti sull’organismo umano.

Dott. Fabio Marino

[1] Psicomotricista funzionale, medico e psicologo

[2] Citato  da M. Clauzade e J-P.Marty  “ORTO –POSTURODONZIA 2” Marrapese, Roma, 2008

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