TRATTAMENTO PER L'ARTERIOPATIA PERIFERICA – Fabio Marino

di | Aprile 13, 2021

L’arteriopatia periferica è una patologia correlata all’aterosclerosi.

L’arteriopatia periferica è una patologia correlata all’aterosclerosi, comune, ma spesso non identificata e quindi non trattata precocemente. Deriva da un processo che causa una strozzatura vascolare delle arterie periferica, prevalentemente negli arti inferiori. Esistono fattori di rischio per la malattia, il più importante dei quali è il diabete, che causa sintomi precoci e progressione rapida.

Oltre a dolore e zoppia, ci sono altri sintomi tipici.

L’ischemia critica degli arti inferiori  è la manifestazione più grave della patologia la quale, se non trattata propriamente, può causare la perdita della gamba, ma anche la morte.

Oltre alle terapie farmacologiche, anche l’esercizio fisico ha un effetto importante sulla malattia. Tra i trattamenti medici, la rivascolarizzazione precoce riduce il rischio di amputazione dell’arto, ma ogni caso deve essere valutato da un team multidisciplinare per quanto riguarda la scelta endovascolare o di bypass chirurgico.

Epidemiologia dell’arteriopatia periferica

L’arteriopatia periferica ha elevate conseguenze socio-psicologiche per il paziente, ma anche un alto impatto economico. La prevalenza di arteriopatia periferica nella popolazione globale è del 10%. Se si considerano solo i soggetti che superano i 50 anni di età, la percentuale aumenta al 30%. I pazienti diabetici hanno un rischio di sviluppare un’arteriopatia periferica aumentato di quattro volte rispetto alla popolazione globale, con esordio e progressione più rapida. In caso di amputazione dell’arto, le prospettive di recupero sono scarse, con solo il 30% degli amputati in grado di camminare con una protesi ed il 50% di mortalità a due anni dall’intervento.

Fattori di rischio per l’arteriopatia periferica

Esistono alcuni fattori di rischio associati alla patologia. Solo alcuni di essi sono modificabili.

  • Età. Il rischio di arteriopatia periferica aumenta con l’età.

  • Sesso. La prevalenza della patologia è nel sesso maschile, con rapporto uomo:donna di 2:1. Alcuni studi dimostrano che ciò potrebbe essere dovuto ad un “effetto protettivo” dato dagli estrogeni.

  • Etnia. Alcuni studi hanno evidenziato che l’etnia nera sia più a rischio della bianca.

  • Fumo. Il fumo è il più importante fattore di rischio modificabile dell’arteriopatia periferica. Probabilmente è dovuto allo stress ossidativo aumentato nei fumatori. Il dolore alla gamba è molto più comune in soggetti fumatori con la patologia: è fino a tre volte maggiore.

  • Ipertensione. Chi soffre di pressione alta ha un rischio maggiore di arteriopatia periferica. Alcuni studi dimostrano che il rischio aumenti del 25% ogni 10 mmHg di ipertensione e sia tre o quattro volte superiore rispetto a soggetti con pressione nella norma.

  • Iperlipidemia. Anche il colesterolo è un valore da controllare: ogni 10 mg in più sul totale corrisponde ad un aumentato rischio di arteriopatia periferica del 5-10%. In particolare, bisogna tenere sotto controllo il colesterolo “cattivo” LDL (lipoproteine a bassa densità). Sono da controllare anche altre lipoproteine oltre a quelle del colesterolo, ad esempio la A. E’ simile alle LDL, secondo alcuni studi se elevata potrebbe essere un fattore negativo per la malattia.

  • Iperviscosità del sangue ed ematocrito alto. Il sangue più viscoso causa un maggior rischio di formazione di coaguli e trombi. Per valutare l’iperviscosità, può essere analizzato anche il livello di D-dimero nel sangue. E’ un prodotto della degradazione della fibrina che esprime i problemi di coagulazione del sangue, quindi potenzialmente interessante nella predizione della progressione dell’arteriopatia.

  • Iperomocisteinemia. L’omocisteina è un amminoacido che aumenta lo stress ossidativo e quindi, se elevato, può avere un ruolo nell’aumento del rischio cardiovascolare.

  • PCR elevata. La proteina C reattiva si trova in concentrazione elevata negli stati infiammatori e anche nell’arteriopatia periferica. Il suo ruolo nella patologia non è ancora chiaro.

  • Livelli di fibrinogeno elevati. E’ una sostanza secreta dal fegato negli stati acuti, è spesso elevato in casi di arteriopatia periferica con prognosi scarsa.

  • Altre patologie concomitanti. La presenza di alcune malattie aumenta il rischio di sviluppare arteriopatia periferica.

  1. Il diabete è il maggior fattore di rischio per l’arteriopatia periferica. E’ importante che sia diagnosticato precocemente per evitare la rapida progressione del problema e che il diabete sia ben controllato.

  2. Insufficienza renale cronica. E’ associata in generale ad un rischio cardiovascolare elevato.

Patogenesi nella arteriopatia periferica

L’aterosclerosi è caratterizzata da una lesione dello stato più interno del vaso sanguigno, la tonaca intima, chiamata ateroma o placca ateromatosa. Essa protrude e ostruisce il lume del vaso ed indebolisce l’adiacente tonaca media. Si ha una riduzione graduale di apporto sanguigno nell’arto colpito.

Esistono diverse ipotesi che spiegano come si origini l’arteriopatia periferica. Ad oggi la più affermata si basa sull’ispessimento della tonaca intima e l’accumulo di lipidi nelle arterie medie e larghe. Analizziamo il processo cercando di semplificarlo il più possibile.

La disfunzione dell’endotelio, il rivestimento delle pareti del vaso, ne causa un’aumentata permeabilità e un accumulo nella tonaca intima di lipoproteine del plasma, in particolare a bassa densità (LDL, la sigla utilizzata per identificare il cosiddetto “colesterolo cattivo”).

Si attiva una risposta infiammatoria, con la produzione di radicali liberi, che ossidano le LDL e causano un’aumentata adesione sull’endotelio di molecole, come i monociti, che migrano nella tonaca intima. I monociti si differenziano in macrofagi e assorbono le LDL, formando delle cellule schiumose infarcite di lipidi. Le LDL ossidate rilasciano fattori di crescita, tra cui materiale piastrinico, che causano la migrazione di cellule della muscolatura liscia dalla tonaca media alla intima, dove proliferano e depositano matrice extracellulare intorno alle cellule schiumose.

Ciò porta alla formazione della placca ateromatosa all’interno della parete del vaso.

Si genera un circolo vizioso, per cui maggiore è la formazione di cellule lipidiche, maggiore è l’infiammazione che le genera: la placca aumenta di dimensioni. Ciò causa stenosi e graduale occlusione dell’arteria, che può portare all’ischemia.

Di conseguenza, il nostro organismo cerca di compensare il problema con l’aumento di numero e di diametro delle arterie dell’arto inferiore. L’obiettivo di tale circuito collaterale sarebbe quello di vicariare la funzione dell’arteria ischemica, ma spesso non riesce, in particolare se i flussi sanguigni aumentano, come durante un aumento di attività fisica.

La placca può rompersi spontaneamente o per l’aumento di forze emodinamiche, come durante l’attività. Il materiale presente nella placca, tra cui piastrine, proteine e collagene, subisce un’aggregazione formando un trombo fibroso, che peggiora l’occlusione del vaso. Frammenti del trombo possono anche staccarsi dalle pareti del vaso e entrando nel circolo sanguigno, rischiando un’embolia.

Essa può essere riconosciuta se i sintomi del paziente peggiorano rapidamente.

In caso di diabete, il problema vascolare è complesso perché affligge sia la macrocircolazione che la microcircolazione del sangue, coinvolgendo sia arterie medio-grandi, che arteriole e capillari.  L’arteriopatia periferica colpisce prevalentemente le arterie medio-grandi e nei diabetici è causata dal metabolismo anormale presente per la malattia. I fattori scatenanti principali sono l’iperglicemia, la dislipidemia  e l’ipercoagulabilità.

L’iperglicemia è la causa maggiore di disfunzione endoteliale nei diabetici, perchè aumenta l’interazione tra i monociti e l’endotelio, che è uno dei processi alla base della formazione della placca aterosclerotica.

L’alterazione del metabolismo del glucosio ha effetti anche su quello dei lipidi, generando una dislipidemia, ovvero un’aumentata presenza di LDL e colesterolo, anch’esse alla base del problema.

Nel diabete, inoltre, c’è una disfunzione delle piastrine che facilita la coagulazione del sangue, con aumentato rischio di aggregazione e formazione di trombi.

Sintomi dell’arteriopatia periferica

La maggioranza dei soggetti con arteriopatia periferica è inizialmente asintomatica. Solo un quarto del totale presenta subito sintomi. La sintomatologia si manifesta per la riduzione graduale di apporto sanguigno agli arti. Tra le prime avvisaglie della patologia c’è la claudicatio intermittens o zoppia intermittente.  Nei diabetici, potrebbe esserci una ferita nel piede che tende a non guarire. Se non trattata, l’arteriopatia peggiora con il manifestarsi di dolore e perdita di tessuto, fino alla gangrena, espressione di ischemia critica degli arti inferiori. L’aterosclerosi può manifestarsi distribuendosi in modo globale nell’individuo e può causare problemi arteriosi a livello cerebrale o coronarico.

Claudicatio intermittens

La zoppia intermittente è caratterizzata da un dolore associato a sensazione di stretta o crampo muscolare durante il cammino, con la graduale riduzione della distanza percorribile senza sintomi. Il dolore peggiora nel cammino in salita e si attenua con il riposo. La localizzazione del dolore dipende dalla sede dell’arteriopatia. Spesso colpisce le arterie infrapopliteali, provocando sintomi si nel polpaccio, distalmente al sito di occlusione o stenosi. Se affligge le arterie femorale o iliaca, il dolore può essere percepito alla coscia o alla natica. In caso di sintomo bilaterale in entrambe le gambe, potrebbe essere un problema dell’aorta. Molti soggetti con zoppia intermittente rimangono stazionari e solo il 2-3% necessita di un intervento di rivascolarizzazione.

Ischemia critica degli arti inferiori

I soggetti che soffrono di ischemia critica degli arti inferiori hanno una circolazione talmente ridotta da necessitare di rivascolarizzazione per il rischio di necrosi e perdita della gamba.

Sono pazienti con dolori molto forti e persistenti, costanti da più di due settimane, con ulcere o gangrena in atto, in comprovata arteriopatia.

Diagnosi

Valutazione del paziente

Dopo l’esame soggettivo del paziente in cui raccoglie tutte le informazioni utili, lo specialista si occupa dell’esame fisico. E’ necessario analizzare il quadro cardiovascolare globale del soggetto. Viene palpato il polso periferico nell’arto superiore e provata la pressione, eseguita l’auscultazione cardiaca ed esaminato l’addome, per escludere un aneurisma aortico, una massa pulsante sopra l’ombelico.

Successivamente, vengono ispezionati gli arti inferiori, alla ricerca di alterazioni della pelle, ulcere o gangrena, con particolare attenzione ai piedi nei diabetici. Si sente la temperatura degli arti e si valutano segni di ischemia, come il pallore cutaneo ad arto elevato, che sparisce lentamente, o la comparsa di rossore nella gamba malata a causa di una dilatazione arteriolare. Si osserva anche l’eventuale perdita di capelli o danni alle unghie. Dopodichè, si palpa il polso periferico degli arti inferiori a livello femorale, popliteo e tibiale.

Dalla valutazione alla diagnosi

Per poter effettuare una diagnosi, lo specialista può effettuare dei test e delle misurazioni.

Tra le più importanti, vi è la misura dell’indice caviglia braccio (ABI).

E’ un test non invasivo e molto accurato, con validità del 95% nei sintomatici. E’ la comparazione della pressione sanguigna nelle braccia e nelle gambe, con un valore soglia di 0,9, al di sotto del quale il soggetto è considerato patologico. Nei diabetici, la misurazione viene effettuata a livello dei piedi e non delle gambe, perché la presenza di arterie rigide o calcificate potrebbe falsare il risultato; il valore soglia in tal caso è 0,7. La pressione viene misurata con uno sfigmomanometro e una sonda ecografica Doppler.

A volte, può essere proposto il test da sforzo sul tapis roulant.

E’ utile nei casi in cui il problema compaia solo sotto sforzo e non a riposo. Viene misurato l’indice ABI prima e dopo l’esercizio: un decremento del 15-20% del valore è diagnostico di arteriopatia periferica.

Un altro test che può essere utilizzato è la misurazione della pressione transcutanea dell’ossigeno.

E’ utile nelle fasi avanzate di ischemia per valutare la probabilità di guarigione delle ulcere. Se il valore è inferiore a 30 mmHg è considerato sfavorevole. Questa misurazione non viene sempre adottata perché tende ad essere variabile.

L’EcoDoppler può essere richiesto per determinare la direzione e la velocità del sangue in un vaso. Tramite il risultato è possibile capire la gravità del problema vascolare.

In caso siano necessarie informazioni più dettagliate, ad esempio in vista di un intervento da programmare, può essere utile anche l’angiografia. E’ considerato l’esame diagnostico più accurato per l’arteriopatia periferica.

Trattamento dell’arteriopatia periferica

Gli obiettivi del trattamento dell’arteriopatia periferica sono: migliorare sintomi e qualità della vita, aumentando ad esempio la distanza percorribile camminando senza dolore, e prevenire progressione di patologica cardiovascolare, oltre al rischio di amputazione dell’arto.

E’ importante innanzitutto cambiare gli stili di vita e i fattori di rischio modificabili.

Ad esempio, è opportuno eliminare il fumo di sigaretta. Oltre ad essere un fattore di rischio per l’arteriopatia periferica, è anche sfavorevole nel successo di eventuali interventi chirurgici, con aumentato rischio di amputazione.

E’ importante tenere sotto controllo alcuni valori associati a rischio di arteriopatia come:

  • In particolare nei diabetici, è fondamentale il controllo glicemico.
  • E’ importante la riduzione del colesterolo, in particolare quello cattivo rappresentato dalle LDL.
  • Pressione arteriosa . Il controllo dell’ipertensione può ridurre anche del 50% il rischio di arteriopatia periferica.

Trattamento fisioterapico per l’arteriopatia

E’ stato dimostrato che l’esercizio fisico non solo aiuti nel miglioramento della qualità della vita, aumentando ad esempio la distanza percorribile camminando senza dolore, ma contribuisca anche a ridurre il rischio cardiovascolare. 

Ciò può essere dovuto ad esempio ad un adattamento metabolico dei muscoli, alla trasformazione delle fibre muscolari o all’aumento del flusso sanguigno capillare.

Sono stati fatti studi specifici che hanno dimostrato che un programma terapeutico di almeno due volte alla settimana può migliorare la capacità di cammino dal 50% al 200% in coloro che soffrano di claudicatio intermittens. Ciò implica che è raccomandata la fisioterapia a tutti i soggetti che soffrono di zoppia intermittente.

Il consiglio che vi do è quello di iniziare con 10-15 minuti di camminata in leggera salita 1-4%. E poi gradualmente allungare le camminate fino a 30 minuti al giorno in leggera salita. Naturalmente verrà difficile farlo in inverno e sopratutto trovare delle leggere salite costanti lunghe quanto basta per coprire il tempo di 10-30 minuti. Se volete spendere poco e avere un ottimo prodotto vi consiglio di comprare un tapis roulant. Il tappeto che consiglio di comprare ai miei pazienti lo potete vedere da qui.

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Terapia farmacologica

La terapia farmacologica proposta per l’arteriopatia periferica prevede l’uso di antiaggreganti, per evitare la formazione dei trombi, ed agenti vasoattivi, che riducono la viscosità del sangue inducendo vasodilatazione e agendo indirettamente anche come antiaggreganti per le piastrine.

Terapia medica

La chirurgia è un trattamento che viene attuato qualora il trattamento conservativo non sia stato sufficiente per risolvere i sintomi dei pazienti, oppure in casi gravi come in presenza di ischemia critica degli arti inferiori.

L’intervento chirurgico di rivascolarizzazione e riperfusione dell’arto può essere attuato tramite la chirurgia classica, che prevede il bypass, o endovascolare, con un’angioplastica con o senza stent. La scelta migliore deve essere presa caso per caso dopo un’attenta valutazione multidisciplinare.

Esistono terapie innovative per l’arteriopatia periferica, come la stimolazione del midollo spinale per ridurre la percezione del dolore, o la compressione pneumatica intermittente degli arti inferiori, che riduce il flusso sanguigno nelle arterie e la pressione dell’arto. Un’altra alternativa è l’angiogenesi, che si basa sull’ipotesi che, aumentando dei fattori di crescita identificati, si possano sviluppare nuovi vasi sanguigni nel tessuto ischemico.

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Dott. Fabio Marino

Co-autrice: Dott.ssa Ft Dalila De Blasio

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